Lingue
La pietra che canta
L’isola è viva e i favignanesi lo sanno
Girano tante voci sulle cave di Favignana: anche se tutti mi avevano avvertita che in quel posto non avrei trovato pace, io ho preparato armi e bagagli e me ne sono andata. A volte bisogna dimenticarsi di ciò che dice la gente e fare di testa propria, come ha fatto il signor Cristo che ha dimenticato le buone maniere lì a mollo, tra una rete calata e una partita di scopa. Ma poi cavalca la cresta dell’onda con la sua barca Calliope, Salvatore detto Cristo.
Un giorno di metà luglio ho deciso che la cava a Marunnuzza, situata nei pressi delle cattro vanedde, sarebbe stata perfetta. Il perché è semplice, c’era un bellissimo albero di limoni che svettava indisturbato nel giardino e un silenzio pieno, quasi assordante, che mi premeva sull’orecchio. Niente televisore o cellulare, niente linea telefonica o wireless per connettersi , e per essere trovata soprattutto. Me ne vado in una cava, insomma, a vivere, si capisce.
Non mi preoccupava il fatto di starmene in un buco sotto terra: l’isola è viva e i favignanesi lo sanno. Anche quelli mezzosangue come me, che a volte ritornano perché hanno sentito un richiamo provenire da questo scoglio. Essi hanno appreso nel corso dei secoli e millenni che ogni segreto passato attraverso le venature della pietra sta raccolto e custodito al suo interno, come in un monumentale scrigno. Si tratta di suggestione, forse, ma a volte la terra vibra ed espande un sospiro che arriva fin dall’altra parte dell’isola, dolcemente, senza alcun rumore. Quello che calpestiamo è corallo sedimentato, ha detto un Mastro della pietra, Antonino Campo, in arte CampoArte.
U Cantuni, il blocco di pietra (e non di tufo, mi raccomando!) che i pirriaturi ricavavano dalla montagna, altro non sono che conchiglie finemente lavorate dal legame acqua-terra-aria-fuoco e tempo. La sabbia rimanda l’eco di ogni passo.
Pirrera è un nome di origine araba e ora indica le cave, il cuore di Favignana, là dove stanno racchiuse le nenie del mondo.
Sono entrata di primo pomeriggio, faceva un caldo afoso e non c’era un briciolo di corrente. La discesa costeggiava le pendici cariche di un fico, mentre il suolo brulicava di formiche enormi e sulla testa sporgevano lastre e casseruole di stagno da un ripostiglio, ricavato anch’esso dalla pietra di corallo. Sono sotto il livello del mare, ho pensato. Il corallo è legato al flusso del sangue, serve a ricondurre le energie nello spirito e nel corpo.
Lì sotto, nel cortile, aspettavo il vento e stendevo il bucato, poi guardavo in alto e vedevo pietra ovunque, al punto che sembrava una cornice. Nugoli inferociti di zanzare tigre trovavano ristoro nelle pozze di umido e acqua salmastra che venivano formandosi nelle zone d’ombra della cava. Stavano lì da sempre, così le zanzare erano a casa loro.
Nella pirrera la notte era uno stillicidio di sogni e visioni curiose. A piccole dosi, ma in continuazione, mi giravo e rigiravo nel sonno, con la pietra che si sbriciolava a un palmo dal naso e il buio totale poggiato sul petto. Nel silenzio, tuonava la presenza del terreno sulla testa. Pregavo che per nessun motivo cedesse quello strano meccanismo. Ogni blocco era stato incassato in quel preciso punto e teneva in equilibrio il tutto, ognuno era diverso e un po’ ammaccato, poi mancava qualcun altro all’appello e allora si incontrava un buco, ma tutto sommato funzionava bene.
La verità è che non avevo da temere nulla finché la pirrera avesse intonato il suo canto di scrosci e di fruscii provenienti da chissà quale lontano mondo. Per essere buono u cantuni ha da cantare, mi ha detto qualche savio qui del posto. E al minimo movimento il cuore saltava sull’attenti, battendo al ritmo della pietra. I vecchi pirriaturi lo sapevano, perciò colpivano la pietra con un’altra facendola tuonare fino nel midollo. A beddu cori, a carrittati sani, col cuore felice e i carretti pieni, recita Bice Bannino nella sua poesia dedicata ai cantuna di Favignana.
Si dice che la pietra corallata sia nota fin dall’antichità per le sue proprietà farmaceutiche e protettive e che la sua polvere se aspirata dia un effetto antiemorragico. Veniva trasportata sui muli fino allo scalo dunni varcuna e poi prendeva il largo verso la terra ferma. Al momento della vendita quella sana era richiesta per fabbricare case, scuole e monumenti, nonché scivoli sul mare. L ’altra che era stonata, spaccata dentro, veniva usata per i muri delimitanti la campagna o ridotta in polvere sempre a scopi edilizi.
Li vedo anche adesso, i pirriaturi e quella fatica infame. Adesso che ho lasciato la cava e sono tornata in paese. A marunnuzza mi ha fermata giusto in tempo per sentire il canto della pietra di corallo.