Ivano, il travagghino

Ventisei anni di vita e diciassette anni di lavoro

di Eleonora Corica

Non fa mai freddo a Favignana. L'unico ricordo che ho di una giornata fredda, ma fredda veramente, è del trenta dicembre novantanove. La giornata in cui vidi mio padre steso morto, sul pavimento della cucina.

Io avevo appena nove anni. Sulle prime non seppi bene cosa fare, come comportarmi: chiamai aiuto e stetti pressoché fermo, sull'uscio della cucina, a guardare mentre mio padre veniva toccato e tastato e mentre mia madre e le mie zie si disperavano. Poi decisi di farmi un giro e mi disperai anche io.

Presi a frequentare il cimitero, andavo lì ogni mattina per salutare mio papà

All'inizio, non avevo ben chiaro il concetto di morte. Mi sembrava assurdo che fosse davvero così immediata: questione di attimi. Presi a frequentare il cimitero, andavo lì ogni mattina per salutare mio papà e chiedergli di svelarmi i segreti della morte e della natura. Lui non rispose più di tanto, ma c'è chi lo fece per lui: la signora Rosa, custode del cimitero che divenna mia compare. Adesso capisco: un bambino triste che ogni mattina da solo vaga in un cimitero è normale che susciti simpatia. Quante avventure, con la signora Rosa. Mi viene sempre da ridere quando penso a lei, perché era davvero buffa. Penso ai gatti, ce ne stavano tantissimi lì intorno, a volte si infilavano sotto le macchine e li si poteva sentire miagolare per ore intere, quante risate per tirarli fuori di lì! Mi ha insegnato a friggere le melanzane, andavo spesso a pranzare a casa sua, le facevo compagnia volentieri.

Lì incontrai anche u Zu Peppe, un uomo che mi ha aiutato tantissimo. Lui è il becchino dell'isola. Io stavo sempre là con la signora Rosa, e lo vedevo lavorare, portare bare, riesumare cadaveri. Ed ero così curioso di conoscere i segreti della morte che stavo sempre lì con lui a fargli domande. Cosicché iniziò a dare un senso alla mia curiosità spedendomi a fare commissioni per lui: portare fiori in giro, sistemare varie cose. Crescendo io ed invecchiando lui, il mio corpo da adolescente gli tornò molto utile: lo ho aiutato tante volte a sollevare corpi o bare troppo pesanti per lui. Ancora oggi lo aiuto quando ha bisogno. E' a lui che devo il mio diploma di maturità. Lui e sua moglie mi hanno sempre spinto a studiare, e sono sicuro che non lo avrei fatto senza di loro.

Per primo fu Luvico il semenzaro a offrirmi un lavoro: aveva un carretto, in piazza Matrice

Nel frattempo, andavo a scuola e me ne stavo peri peri in piazza nel tempo libero. Per primo fu Luvico il semenzaro a offrirmi un lavoro: aveva un carretto, in piazza Matrice, e vendeva semini e caramelle e giochi per i ragazzetti. Palloni, sparaceci. Il mio compito era tenere sempre d'occhio il carretto da eventuali ladruncoli quando Luvico si allontanava o si affaccendava, e aiutarlo a costruire gli sparaceci, fionde ricavate dai colli delle bottiglie di plastica. I ceci venivano venduti come munizioni, chiaramente. Lavorai poco con lui, non aveva davvero bisogno di me: era un pretesto per tenermi occupato e per farmi qualche regalino. Mi comprava la coppa del nonno, e dopo un paio di mesi di diede cinquemila lire.

Ma fu poco dopo che trovai il mio primo vero lavoro da u Zu Petrino, panettiere della piazza, che iniziò a farmi consegnare il pane ai clienti, e piano piano vide che io non mi saziavo facilmente di lavoro: continuavo a chiedergli se avesse bisogno di aiuto e vedeva che quando non lavoravo me ne stavo in giro senza senso. E normalmente gli facevo core, i miei fratelli erano grandi e io ero un ragazzino vivace ma introverso. La mia storia faceva simpatia, e la mia voglia di aiutare trovava negli altri voglia di aiutare me. E quindi iniziò a mostrarmi i trucchi del mestiere, finché nel duemila, a dieci anni, entrai ufficialmente a far parte della sua brigata in cucina.

Ero bravo, un perfetto travagghino: stavo lì tutto il giorno in estate. Zu Petrino mi difendeva sempre dai miei colleghi. All'epoca si usava "salare" la Ciolla ai nuovi arrivati. In pratica una manciata di sale veniva inserita a forza nelle mutande del malcapitato. E vado molto fiero del fatto che in dieci anni di lavoro lì dentro nessuno mai è riuscito a salarmi. Ogni volta che ci provavano mi bastava urlare e Zu Petrino arrivava sul piede di guerra, salvandomi.

Oggi fa caldissimo. E' ancora settembre e mentre me ne sto qua a raccontare la mia storia, mi mangio una bella brioche col gelato, che si sta pian piano sciogliendo sul tavolino.

 

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