Vino di famiglia

C'era una volta una cantina a Trapani

di Margherita Simonte

Quattro botticelle nella stanza di quando era ragazzo è quello che rimane delle cantine Cavarretta che hanno chiuso i battenti negli anni '70 ma che trovano nei ricordi di Salvatore e negli insegnamenti di Paolo le radici di una famiglia dal profumo di mosto e dal sapore di vino vecchio. Era il 1983 quando papà Paolo, visto che i figli avevano intrapreso strade diverse, lasciò a Salvatore una piccola botte da 100 lt di “vino antico” del 1931, dicendo che “quel vino aveva l'età di sua moglie” e dando gli ultimi consigli e raccomandazioni. Gli consigliò di usarlo con parsimonia e di fare il vino con le uve di ottobre inoltrato, metterlo in una botte da 100 lt, e di rimpinguare la botte più vecchia con quella più giovane poco alla volta.

chi cci voli, u fazzu io il suo vino, mi facissi controllari a utti.

Così anche quest'anno Salvatore vinificherà e seguirà i consigli del padre, portando avanti il ricordo di una vita passata, di quando da ragazzo partecipava alla raccolta dell'uva che poi veniva messa in ceste di vimini da 20 kg e trasportata nel palmeto, a mano o con animali da soma, dove veniva “pistata” con gli stivali adatti e successivamente pressata col torchio. Così si ricavava il mosto, messo nei barili e trasportato nella cantina Cavarretta, dove ad attenderlo c'era il nonno Francesco Paolo, uno dei due fratelli che avevano ereditato la cantina.

Francesco Paolo negli anni '60, rimodernò la cantina, acquistò botti in cemento armato, in castagno e rovere, macchinari per il filtraggio ed una pigiatrice da 60 quintali l'ora, che mise in pensione i torchi, rimasti a fare da scenografia, da collante fra passato e futuro.

Le botti antiche continuavano a fungere da contenitori, mentre in quelle nuove veniva messo il vino ad invecchiare prima di essere commercializzato come “Vino Dorato” e “Vino Vecchio”.

Le uve utilizzate erano catarratto e grillo della zona di Nubia o Marausa, perché la vicinanza al mare conferiva all'acino un surplus di sapori.

Il prezzo dell'uva era stabilito in base alla gradazione zuccherina che si attestava sui 20 gradi alla raccolta, sopra o sotto tale gradazione, l'uva aveva un costo superiore o inferiore. Per il vino Dorato si usava il mosto di inizio vendemmia, meno zuccherino, circa al 18%, e con una gradazione alcolica finale sul 12%. Per il vino vecchio, che prima di essere imbottigliato veniva tenuto per almeno tre anni nelle botti, veniva usato il mosto di fine settembre, primi di ottobre, più zuccherino (circa al 21%) e con una gradazione alcolica finale intorno al 14%.

Sono tante le cose che sono cambiate in meglio o in peggio nel processo di vinificazione rispetto al passato.

Ancora ora Salvatore, produce vino e aceto, derivante dall'aceto madre tramandatogli da suo padre che lo produceva per uso personale. Usa ancora catarratto e grillo delle zone di Nubia, Marausa o Valderice, i fornitori ormai sono amici di vecchia data ed il prezzo dell'uva va sulla stima del peso ancora in pianta, pagandola in anticipo al valore corrente. Ne prende circa 2 quintali che vengono lasciati in pianta finché non li raccoglie ad ottobre inoltrato, selezionando manualmente le uve da usare. “Una volta una simpatica signora anziana, madre di un amico dove andavo a prendere l'uva, mi disse che anche lei voleva fare del vino. Aveva una bella botte che da quando il marito non c'era più non veniva riempita.” di tutta risposta mi racconta Salvatore che le disse "chi cci voli, u fazzu io il suo vino, mi facissi controllari a utti." , “gli controllai la botte, strinsi i cerchi, la lavai con  acqua bollente disinfettata con una quantità minima di uva in fermentazione e la rivuotai. Quando ad ottobre son tornato da lei, ho raccolto la mia uva ed anche la sua, assieme a suoi parenti, dopo averle pigiate e pressate col torchio ho preso la mia. Si rifiutò il pagamento. Sono andato a trovarla durante la fermentazione e anche lei aveva fatto buon vino.”

Sono tante le cose che sono cambiate in meglio o in peggio nel processo di vinificazione rispetto al passato.

Ad esempio un tempo veniva usato l'olio, ormai vietato, come barriera dall'aria durante il trasporto del vino, in damigiane col collo stretto schermate da paglia, evitandone l'ossidazione. Adesso si può usare solo l'olio di paraffina o le camere d'aria.

Sempre per evitare l'acetificazione del vino si sconsigliava di tenere il livello di liquido basso dentro le botti, per ridurre la quantità di superficie esposta all'aria, mentre alcune cantine, immergevano le bottiglie di vino in acqua a 80 gradi per venti minuti prima dell'etichettatura.

L'aggiunta dei solfiti, oltre quelli naturalmente prodotti dalla fermentazione, dovrebbe servire per la conservazione del vino e per evitarne l'acetificazione, ma in realtà dice Salvatore “si uccide la vitalità del vino che rimane come imbalsamato, lo zolfo è corrosivo anche per i metalli.”

Parlare con i contadini che conservano nelle mura di casa i segreti di un'attività lunga secoli è qualcosa che ama fare Salvatore, traendone nuove consapevolezze e ricchezze, così come l'ascoltare le parole di un padre, di un nonno, di un suocero mentre racconta la storia che lo ha reso l'uomo che hai di fronte. In ognuno si nasconde un tesoro di tradizioni, che da generazione in generazione si tramanda, nei gesti, nelle coscienze, nella mentalità, nei modi di essere e fare. Crescendo ci si accorge che il passato è direttamente proporzionale al tempo che passa, più è lontano più ha radicato in noi qualcosa. Così Salvatore che per anni ha portato avanti la tradizione di una cantina di famiglia lunga generazioni “perché così è giusto”, non sa se i suoi figli continueranno questa lunga tradizione, ma di certo questa storia è entrata a far parte di un altro piccolo mondo, pronta per essere raccontata, pronta per creare tradizione, pronta per ispirare ed entrare nel cuore di qualcuno.

 

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