Maria Niura, Maria la nera

Una donna dal sangue leggero

di Eleonora Corica

 

Li sto aspettando da più di un'ora.

I capelli mi stanno bene e la veste che indosso è la migliore che ho. Peppe l'ho fatto sedere sulla sua sedia preferita, però l'ho messo laggiù nell'angolo, e gli ho detto di tacere e fare il bravo. Sessantatrè anni sposati io e lui, mica come gli sposi di oggigiorno. Oggi alla prima mala parola si lasciano. Quante male parole, in sessantatrè anni, io e Peppe mio!

Aspetto, ma arrivano le persone? Perchè non arrivano? E poi, che ci cunto a chisti? 

Hanno detto che vogliono sapere di quando lavoravo alla tonnara. Sedici anni passae dra rintra, in mezzo a scatolami, teste di tonno e sgombri. Ma poi cosa ci trovano questi forestieri di così speciale in quel lavoro? Era normale, lavoravamo tutte lì. Ci occupavamo di inscatolare il tonno e ci avevano divise in due gruppi. Ero contenta, io ero nel gruppo migliore, eravamo più avanzate perchè a noi stivatrici davano i pezzi buoni del tonno. All'altro gruppo delle abbraccianti davano gli scarti, le lische da pulire. Ricordo così bene quell'odore così forte! C'era un puzzo magico, e ci piaceva, anche se era un puzzo ci sembrava la nostra casa. 

Se proprio queste persone vogliono sapere tutto di me, racconterò loro di quando uscivo di casa e avevo: Ninuzzo sulla schiena che faceva come un pazzo, Fausto nella carrozzina, e io l'ammuttavo, e Michelino rintra a panza. Uscivo così io da casa mia, e andavo in Tonnara, e i figghie li lasciavo alle bambinaie della tonnara. Ce ne erano due erano brave. Mi facevano i complimenti che i miei figli erano i più puliti. A volte mi dicevano che erano gli unici puliti, allora io li lavavo ancora di più perchè mi faceva piacere che mi facevano i complimenti. E poi dicevano che almeno i miei li potevano baciare, che gli altri facevano troppo feto per baciarli.

Diciotto volte io ho portato bambini nella mia pancia. Quelli che ho portato al seno e che ho fatto crescere sono nove, ma uno è morto da piccolo quindi ora ne ho otto, e diciassette nipoti. La prima volta che ne ho fatto uno di figlio, l'ho fatto in ospedale. Quel dottore e quelle dottoresse mi dicevano che i fianchi miei erano così larghi che potevo fare figli di sei chili se volevo. 'Dra vastasunazza, un mill'avisse mai ritto! Io nell'ospedale non ci sono andata più per fare figli, li ho iniziati a fare a casa. Ma 'dra vastasa aveva ragione perchè dal secondo figlio mio, lui e tutti gli altri hanno pesato almeno cinque chili, cinque e mezzo. E io li buttae fori tutte, va.

Eccoli eccoli, li sento che parlano, e arrivano. Bussano e mi batte forte il cuore, "Entrate! Trasite!". Poi mi siedo sul divano e loro guardano tutta casa mia. Vedo che sono curiosi. Però io non so bene cosa dire, allora dico: "M'avite addumandari qualche cosa?". E loro mi chiedono che lavoro facevo e ci cunto i ricordi che mi vinnero in mente prima: tuttu bono e biniritto.

Poi bussano di nuovo alla porta ed entra un uomo, che è con loro e si accomoda e prende delle foto, e poi mi chede: "Signora, quando ha fatto il bagno in mare per l'ultima volta?" 

E io mi metto a ridere, perchè fa ridere, e gli dico: "Ma io mica saccio notare! Nessuna delle mie comari imparava a nuotare e nemmeno io me lo insegnai. Mica ci avevamo il tempo per andare a nuotare. A dodici anni mi fidanzavo, a quattordici mi sposavo, a quindici iniziavo a lavorare e a sedici facevo Ninuzzo. Quando ci andavo al mare? E anche quando ha chiuso lo stabilimento io facevo i figli e cucinavo. Quale mare? Io mare unni vitte mai". E stiamo tutti in silenzio un attimo, e io non so più cosa dire, allora affuncio e mi vivo un poco r'acqua. Peppe tossisce nel suo angolino e gli prendono una foto. Povero Peppe mio, è cieco e non lo sa che gli prendono le foto, nemmeno sorride. 

Una ragazza che parla siciliano mi chiede: "Ma ne hai visti mai patruneddri r'incasa? E' vero che esistono questi fantasmi?". Matri mia. Mi pare che mi si firma u core e tutti i pila ri razza si fanno tesi. "Cetto che esistono, sono le anime dei vecchi proprietari di casa. E pifforza li vitte", rispondo. "Na casa mia vecchia, faciano sempre u cafè. E io sentivo sempre ciauro ri cafè, e ciù ricia e Peppe e iddro unni sapìa nente. Ma io rico, megghio accussì. Si faciano u cafè e a niautre unni riciano nente. Ma canuscio cette storie..." e le mie braccia si riempono di brividi.

E allora gli racconto la storia che mi raccontava mia madre, della ragazza che muore uccisa ed entra nell'altra ragazza. E l'altra ragazza sta male perchè lo spirito che le vive dentro è arrabbiato: vuole giustizia. E quindi l'altra ragazza sembrava folle, ma non lo era, era lo spirito dentro di lei della ragazza morta uccisa che le chiedeva aiuto. E diceva: "Aiutami, io non me ne vado da te finchè non mettono in carcere il mio fidanzato, perchè è lui che mi ha ammazzata!". Alla fine ci aveva ragione e lo hanno arrestato.

Racconto questa storia e loro sono felici di quello che hanno sentito. Gliene racconto una di quando i patruneddri hanno legato un uomo al suo stesso letto perchè lo odiavano. La moglie era di là, lo intise vuciare e l'attruvao accussì. 

"Sulo chiddre chi hanno u sango leggero pozzunu abbirire i patruneddri", dico io.

Poi mi chiedono se posso uscire e se posso farmi prendere una fotografia sulla porta di casa mia. Io ci dico sì, oggi mi vedo bella, ho messo la veste migliore che ho ed i capelli mi stanno proprio bene.

 

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