Verso la Fortezza di Santa Caterina

Favignana a piedi è un’esperienza diversa

di Guido Conti

Sono soprattutto strade polverose e bianche, protette da muretti a secco, quelle che attraversano l’Isola di Favignana. Verso i faraglioni invece la polvere è rossa dove la terra diventa più grassa. Cambiano i colori, muta il paesaggio, sempre diverso, sempre sorprendente. Le strade sono attraversate da giovani che frecciano in scooter e, con un ritmo più lento, in bicicletta. Tutti però alla ricerca delle calette nascoste. Le rocce sono aspre, rugose come spugne indurite. A volte si accede al mare dove una volta c’era una cava con le pareti levigate dal lavoro secolare dell’uomo. Teatro di un mondo dove il mare si deve conquistare. La bellezza raggiunta è un’acqua limpida, un mare azzurro, blu cobalto, a volte verde.

Ma Favignana, anche se ha un’estensione di diciannove chilometri quadrati, è bello attraversarla a piedi. E’ un altro modo di fare esperienza, di vivere l’isola non con la frenesia di chi vuole spostarsi in fretta. Partendo dal “Giardino delle Aloe” dove alloggiamo, verso la Fortezza di Santa Caterina che domina l’isola, ci sono cinque chilometri e un dislivello di 314 metri sul livello del mare. Una camminata che può diventare un’esperienza diversa e affascinante. Se poi la giornata è ventosa, il cielo si copre di nubi e comincia a piovere proprio mentre si salgono i gradini verso la cima, allora tutto prende un’atmosfera da romanzo d’avventura gotico-medievale.

Chi cammina può fermarsi a guardare oltre i muretti a secco scoprendo così abitazioni nascoste sotto la strada. Nelle cave ci vivono ancora, tra giardini a volte suntuosi spesso quasi abbandonati, tra orti e pollai. E’ una Favignana che tende a difendersi dagli sguardi curiosi del turista, un po’ vergognosa di sé, ma forse in quella riservatezza povera e dignitosa, ci sta tutta la sua bellezza antica, non ancora toccata dalle mode e dal turismo che appiattisce tutto. Una città nascosta, ancora abitata negli antri delle rocce, dove la vegetazione è ricca e lotta contro la roccia.

Chi cammina non ha fretta e deve essere curioso. Si scopre allora un’edicola votiva alla Madonna che solitamente chi corre in scooter non vede, all’incrocio tra due strade. Si possono fotografare piante grasse, erbe secche e spinose e arbusti selvaggi adorati dalle capre che una volta abitavano l’isola in gran numero, come ci ricordano gli scrittori antichi. Egusa (Aegusa per i latini), era l’antico nome dell’Isola, che deriva dal greco Aigousa (Αἰγοῦσα), cioè «che ha capre». Una flora totalmente diversa da quella del residence, un suntuoso ex giardino botanico tra cui spiccano una gigantesca pianta di ficus, aloe rare e alte palme che toccano il cielo.

Verso il porto si ha una visione diversa anche dello stabilimento Florio. Visto da dietro ha tutto un altro fascino. Il muro è liscio come le cave di pietra. E’ li che comincia la salita, dove le mucche sono al pascolo tra il mare, le navi e, all’orizzonte, l’Isola di Marettimo, con un contrasto davvero insolito.

La salita verso il monte è agevolata da una scala in pietra che s’inerpica sinuosa. La fortezza è stata anche un carcere. Porta i segni della devastazione dei rivoltosi che l’hanno quasi demolita, sventrando porte e finestre, cavando anche le inferriate. Doveva essere un carcere duro. La giornata piovosa, con il cielo coperto è perfetta per raccontare questo posto dove sono passati quasi trentamila prigionieri.

Raggiunta la cima, tra pietre pericolanti, il vento la fa da padrone. L’orizzonte è indistinto. Sotto di noi si distende l’isola in tutta la sua bellezza verso la Sicilia, con le coste che diventano bianche di spume. Di fianco Marettimo è un’ombra che cambia colore e si offusca a seconda delle luci. In cima le sferze del vento spostano le persone. Solo in cima si vedono i resti mangiati dal sale e dall’incuria di quello che era una volta un radar.

La fortezza è un posto truce, dove le pietre e gli scorci raccontano storie terribili di sofferenze. Il vento negli interstizi sembra riportare i lamenti dei prigionieri morti. Oggi, la Fortezza di Santa Caterina è anche il punto di arrivo di una competizione in notturna che si affronta correndo con le luci in fronte, segno dei tempi moderni che non sanno più ascoltare le memorie e le voci dei luoghi.

 

 

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