Senza rete

di Antonella Berni

Le gonnelline delle due donne ondulavano nell’umido di fine giornata. Il profumo di finocchio selvatico era palpabile, portato a folate dal vento afoso.

Ti avverto, giocherò malissimo. Mi fa male il polso destro, questa artrite mi sta uccidendo …

Non cercare scuse prima di aver cominciato, le rispose mentre guardava dove metteva i piedi. Le sterpaglie ricoprivano il sentiero e lei aveva paura che da un momento all’altro potesse sbucare un qualche animale, che so, un serpente, tanto per dirne uno. Non si poteva mai sapere cosa ci fosse in quella natura.

Quando era arrivata in albergo, era rimasta fuori dalla reception per fare una telefonata, dentro non prendeva. Allora aveva visto un gatto fare la posta a qualcosa sotto un albero. Così, mentre aspettava che qualcuno dall’altro capo rispondesse, aveva visto un piccolo topo fare capolino dal buco alla base del tronco e il gatto, zac! rapido dargli una zampata. Il gatto aveva cominciato a sbatacchiare il topo da una zampa all’altra. Sembrava più divertito che intenzionato a ucciderlo e quello, come spesso succede alle vittime, non reagiva. Stava fermo immobile, non cercava di scappare, come se già sapesse che il suo aggressore aveva una strategia a cui lui non poteva sfuggire. Non ne valeva la pena, tentare la fuga. Almeno sarebbe morto perché colto di sorpresa e non per incapacità a sfuggire al suo predatore elettivo nella catena biologia.

Pronto? Era spazientita. Si era girata dall’altra parte perché il gatto aveva finalmente addentato il topo per la collottola. Forse lo portava nel “suo” angoletto, come i veri predatori. Pronto … Esasperata era entrata dentro.

Ma qui non c’è rete. Non era una domanda.

Una folata sollevò le gonnelline e i capelli, rendendoli simmetrici in una diagonale voluta dal vento.

Signora deve andare verso la pineta per chiamare. Il ripetitore l’hanno messo sul monte là dietro, aveva detto la ragazza riccia e grassa alla reception, con il tono di chi parla a una ragazzina testarda.

Chiamerò dopo, ora vado a fare due palleggi a tennis. Sono stata tutto il giorno in viaggio e ho bisogno di sgranchirmi. La ragazza aveva continuato a guardare il computer, disinteressata al suo programma.

Ma hai visto questo posto? Erano ancora giù per il sentiero che portava al campo da tennis.

Lei non rispose. Non voleva dirle che quel posto le sembrava come una donna che era invecchiata male, con le vene varicose e la pelle opaca.

Eh lo so. E’ come il pescatore che un giorno esce in barca con la famiglia e incontra tanti pesci. Ma quel giorno è senza rete.

Una folata sollevò le gonnelline e i capelli, rendendoli simmetrici in una diagonale voluta dal vento.

Speriamo che le palline non volino via.

L’altro giorno ho guardato un documentario. In un posto che non ricordo, in Medio Oriente, si riuniscono acrobati e giocolieri per un festival, come in un grande circo. Funamboli ed equilibristi a decine si sfidano in modo nobile, facendo dei numeri assurdi, pericolosissimi. Tutto senza rete.

E com’è che ti viene in mente questa cosa adesso?

Lei non sapeva cosa rispondere, ci pensò su un attimo.

Nuvole grigie si erano ammassate sul filo del cielo proprio dove il sole stava per buttarsi in mare. C’era un bagliore scuro, come una lampadina rossa dietro un telo nero.

Speriamo che non piova piuttosto.

Si fermarono all’unisono, come se un ostacolo invisibile impedisse loro di andare avanti.

Rimasero in silenzio a guardare nel vuoto, mentre il vento gravido di umido disturbava le loro chiome insensibili ai profumi del tramonto.

Le sembrava quasi che il battito del cuore superasse la barriera delle sue costole e si unisse al fruscio delle piante secche. Due suoni completamente diversi. L’uno definito e costante, ovattato. Sinistro. L’altro confuso e sibilante, discontinuo. Vivace.

Anche un solo minuto può sembra un’eternità. Lei si mosse per prima. Si grattò una caviglia con la racchetta senza distogliere lo sguardo dal campo da tennis, inutile. Senza rete.

 

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