Perdere il bus e trovare un museo. A Marsala

di Dario Amighetti

Capita a molti di stare seduti sui gradini della Chiesa Madre e scorgere in lontananza l’insegna del bar all’angolo della piazza. La prospettiva di bere qualcosa di fresco con trenta gradi all’ombra, la mente obnubilata e l’arsura da camminata nel deserto, innesca un meccanismo inerziale che ti spinge ad alzarti e camminare.

Prima ancora di rendertene conto ti ritrovi seduto a scorrere le proposte del menù, tra le quali non mancano ovviamente – essendo nel centro di Piazza Lilibea – il Marsala delle cantine Florio, il passito di Pantelleria e una sconfinata lista di bottiglie delle cantine Donnafugata. Dopo un’attenta disamina delle varie etichette nella quale ti profondi con fare sommelieristico, che ti costerà la maledizione del cameriere spossato dalla tua indecisione, convieni che la scelta migliore sia la granita al limone o l’improbabile granita al melograno di stagione (che matura da metà ottobre).

Una volta rigenerato cominci a pensare a quelle cantine di cui avevi già sentito parlare, perché sono famose in tutto il mondo, e all’improvviso ti ritrovi a ricostruire la storia recente di Marsala. Scopri che i Florio furono i fornitori personali di casa Savoia, che Ignazio Florio nel 1874 comprò tutte le isole Egadi e che il padre Vincenzo, imprenditore e produttore di vini, fu l’inventore dell’omonima “targa”, la celebre corsa automobilistica.

La stragrande maggioranza delle persone la conosce solo come la terra di approdo, perché qui Garibaldi sbarcò l’11 maggio 1860 seguito da quei Mille con i quali risalì la penisola.

Ma ti rendi anche conto che sono già le quattro del pomeriggio e che se non chiedi rapidamente il conto nuove maledizioni del cameriere incombono su di te, che stai lì da due ore per una granita. Due euro di mancia sono il minimo che tu possa fare prima di alzarti e dirigerti mestamente verso il museo Anselmi, che normalmente è a soli dieci minuti a piedi da dove ti trovi, ma che in agosto e con trenta gradi diventano almeno il doppio. Lì capita quasi sempre - non che si rischi la sindrome di Stendhal ma lo svenimento per il caldo - di restare colpiti dalle testimonianze dei popoli che hanno reso Marsala quella che è oggi.

La stragrande maggioranza delle persone la conosce solo come la terra di approdo, perché qui Garibaldi sbarcò l’11 maggio 1860 seguito da quei Mille con i quali risalì la penisola. La sua storia però è molto di più: da qui passò Marco Tullio Cicerone, nominato poi questore della città; si avvicendarono gli arabi (da cui prese il nome Mars- Allah, “porto di Dio”), i normanni, gli angioini, gli aragonesi e gli spagnoli regnanti delle Due Sicilie. Ognuno di questi popoli ha lasciato la propria traccia, con un segno, un simbolo o semplicemente un’allegoria del proprio passaggio. Ed è noto che in Sicilia ogni traccia di un passaggio è un’impronta indelebile nella memoria.

E così che pensando e ripensando improvvisamente ti accorgi che è quasi ora di cena e che il pullman che dovevi prendere è già partito da dieci minuti. Forse sono state le maledizioni del cameriere… però ti scopri contento di avere perso il bus ma di avere trovato il museo.

 

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